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Descrizione
Il lungo profilo delle montagne trentine, dal Gruppo di Brenta alla Paganella, al Bondone e più giù fino a lambire il lago di Garda, circonda un paesaggio ampio e misterioso. Nella vallata enormi macigni che sembrano rotolati dalle cime spinti da forze sconosciute, obbligano un percorso tortuoso in uno scenario da inferno dantesco. Le pareti di roccia a picco sulla valle, come gigantesche quinte di teatro, nascondono borgate e paesi come Vezzano, Drò, Arco e Riva ed il loro contorno scuro sembra fasciare interamente i pendii mentre l’aria conservare un alone di chiarore anche nell’oscurità.
Su un’altura rocciosa, superato il bosco che ricopre la montagna, appaiono piene di nobiltà ed immobili nel ricordo del tempo, le mura di un antico castello: Castel Madruzzo. Un’apparenza strana, come se la montagna crescendo verso l’alto, ad un certo punto si trasformasse in fortezza ed il bosco di querce e lecci tutt’attorno si mettesse a vibrare leggermente.
Salendo una ripida stradina scavata nella roccia (costruita nella prima metà del '500 da Giangaudenzio Madruzzo, padre del cardinal Crostoforo Madruzzo) che fiancheggia le mura medievali, si raggiunge il maniero. Al di là della parte medioevale con le torri di Gunpone e Boninsegna che si trovano in grave stato di precarietà (occorrerebbe un immediato intervento di consolidamento strutturale), il castello si trova in buone condizioni, anzi, la parte cinquecentesca è addirittura abitabile.
Entrando si nota subito la cura nella manutenzione ordinaria degli spazi esterni, compresa la corte dove si erge l'antico pozzo/cisterna. Interessante anche la piccola chiesa (dedicata a S. Nicolò), in cui ai tempi dei Madruzzo il pievano di Calavino doveva celebrare la messa a Natale e Pasqua. La chiesa si presenta in buono stato negli affreschi e nei dipinti e si fregia degli stemmi della Famiglia e del principe vescovo Cristoforo Madruzzo.
Il castello è circondato da un meraviglioso parco di 12 ettari, racchiuso da un muro di cinta e caratterizzato da interessanti varietà arboree, dal leccio, alle querce, ai faggi secolari.
Rimane aperto l'interrogativo sul futuro del maniero, dal momento che alcuni anni fa si parlava di una possibile vendita, dati anche i costosi e urgenti interventi di restauro della parte più antica (anno 1160). Alcuni anni fa, la Provincia e i Comuni di Lasino e Calavino avevano iniziato una trattativa per acquisire al patrimonio pubblico la struttura. Il divario fra la perizia dei tecnici provinciali e le richieste della proprietà fece cadere la cosa. Rimane, comunque, del tutto irrisolta la questione del costoso restauro strutturale della parte nord.
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Storia
Non sono rimaste notizie certe su chi per primo mise mano alla costruzione di quelle mura e della parte più antica del castello che si sviluppa attorno alle due torri.
Forse fu eretto per volere di un antico Signore o per l’esigenza di possedere una residenza sicura e di fortificare un punto strategico di passaggio a nord verso l’Italia.
Viveva però un tempo (intorno al 1100) una famiglia che si chiamava “di Castel Madruzzo” di cui il più antico personaggio portava un nome che esprimeva i valori professati dall’antica cavalleria: “Gumperto” ossia valore regio.
Fu intorno al 1160 che Gumperto di Madruzzo (nel tempo venne chiamato Gumpone) insieme al nipote Boni Insegna, ricevette solennemente dal vescovo dell’epoca, Adelpreto II, l’investitura della fortezza.
Un insieme di due torri (oggi meglio conosciute come la torre di Gumpone e la torre di Boninsegna) con a fianco le residenze, il tutto circondato dalle mura costruite sulla roccia.
L’investitura prevedeva che la fortezza rimanesse eternamente aperta al vescovo e alla sua curia, il che può indurre a pensare che i Madruzzo fossero sempre stati devoti alla Chiesa più che all’Impero, ma di questa vera vocazione è difficile essere certi.
La lunga storia della prima dinastia della famiglia Madruzzo (1100 – 1400 circa) è attraversata da una serie di avvenimenti contrastanti: scomuniche, seguite dalla privazione della fortezza oltre ad assedi, espugnazioni, congiure e distruzioni del castello che infatti, solo in quegli anni, pare sia stato ricostruito ben tre volte.
Dopo un breve passaggio della proprietà alla famiglia Roccabruna (50 anni circa) furono i Signori di Nanno la seconda famiglia di Castel Madruzzo, i quali contribuirono enormemente ad arricchire la storia della Casata (1400 – 1690 circa) di cui peraltro conservarono gelosamente il nome, sostituendolo a quello che usavano allora.
Il primo ad assumere il titolo di Signore di Madruzzo fu Giangaudenzio, nato nel 1480.
Fu con lui che la seconda famiglia dei Madruzzo iniziò l’ascesa che l’avrebbe portata nel Cinquecento all’apice della sua fama e a lui si devono i lavori di restauro, di sopraelevazione e di ampliamento che trasformarono la severa fortezza di Madruzzo in elegante residenza principesca.
La sua fortuna si costruì all’ombra del principe vescovo di Trento, Bernardo Clesio, di cui fu economo e procuratore generale alla dieta di Worms alla presenza di Carlo V.
Giangaudenzio si mise in luce anche durante la repressione della rivolta contadina che, scoppiata nel 1524 a Stuhlingen nella Foresta Nera, si era poi estesa alla Renania, alla Franconia e alla Turingia e nel 1525 aveva raggiunto anche il Tirolo.
Come commissario per la difesa del principato di Trento il signore di Madruzzo contribuì infatti a spegnere la rivolta che aveva portato all’assedio della città e alla fuga dello stesso Clesio.
Fu inoltre uno dei protagonisti della battagli di Pavia, in cui le truppe di Carlo V sconfissero il re di Francia Francesco I, e ricevette, primo fra i trentini, il titolo di barone da Ferdinando I re dei Romani, di cui era consigliere.
Fu però con uno dei figli che Giangaudenzio ebbe da Eufemia di Sporenberg, Cristoforo, che la famiglia dei Madruzzo raggiunse il massimo della fama.
Tradizioni di splendido fasto distinsero il nuovo principato vescovile: ricchezze, relazioni, cariche politiche e militari influenzarono tutto il mondo di allora.
Iniziavano gli anni che videro come protagonisti della storia trentina i famosi quattro Madruzzo, i vescovi Cristoforo (1512 – 1578), Ludovico (1532 – 1600), Carlo Gaudenzio (1562 – 1629) e Carlo Emanuele (1599 – 1658).
La nuova residenza veniva così adoperata per accogliere i grandi personaggi che passando per Trento, facevano la Storia di quella tormentata Europa del tempo.
Fu lo scenario di alcune fasi del Concilio di Trento (1545 – 1565), uno scenario coronato da soggiorni con memorabili ricevimenti e con celebri banchetti, ad uno dei quali partecipò anche il Conte di luna, ambasciatore di Carlo V, imperatore del sacro Romano Impero (1500 – 15558).
Nato nel castello di Madruzzo il 5 luglio 1512, Cristoforo, appena ventiseienne, alla morte di Bernardo Clesio fu nominato Vescovo e principe di Trento. Tre anni dopo divenne amministratore del vescovado di Bressanone e nel 1543 fu creato cardinale da Papa Paolo III.
Uomo orgoglioso e di grandi ambizioni, Cristoforo fu quindi il primo della sua casata a detenere quella carica di principe vescovo che, tramandata con un’attenta politica paternalistica, rimarrà per oltre un secolo prerogativa della famiglia Madruzzo.
Di lui ci è giunto un ritratto contraddittorio: profondamente consapevole della propria dignità episcopale ma anche, come uomo del Rinascimento, della propria condizione principesca, volle emulare il suo predecessore nel seguire le tradizioni di magnificenza e grandezza della curia vescovile trentina. La sua vasta e raffinata cultura, e i suoi numerosi legami con il mondo letterario e artistico dell’Italia del tempo, gli permisero inoltre di circondarsi di un seguito che veniva considerato una delle più splendide corti cardinalizie del Cinquecento a Roma.
Fu anche un politico abile e accorto, fedele alla casa d’Austria per cui svolse numerosi delicati incarichi: nel 1540 si recò per Carlo V in Belgio e nel 1541 a Venezia; intervenne alla dieta di Augusta; fu nominato da Filippo II nel 1556 luogotenente e governatore di Milano, dopo la partenza del Duca d’Alba; nel 1561 divenne legato pontificio di Pio VI nelle Marche per essere riuscito ad appianare alcune vertenze tra gli Asburgo e la corte Farnese. Si mormorava con ironico disprezzo, che fosse mosso dall’unico desiderio di diventare Papa.
L’avvenimento più notevole del suo vescovado rimane comunque l’apertura nel 1545 a Trento del famoso Concilio, al quale il Madruzzo partecipò assai attivamente contrapponendosi spesso a quel cardinale del Monte, legato pontificio, che nel 1550 diverrà Papa con il nome di Giulio III.
Nel 1567 Cristoforo, non senza successivi pentimenti, rinunciò al principato in favore del nipote Ludovico e si ritirò a Roma. Morì nella villa d’Este a Tivoli il 5 luglio 1578.
La risonanza che le vicende di Casa Madruzzo produssero nel mondo di allora, diedero un posto di onore alla Casata, ma servirono anche ad alimentare mormorii e a creare delle vere e proprie leggende attorno ai membri del Principato che godevano di maggiore considerazione.
Fiorirono le versioni più svariate sulla comparsa dei Signori di Nanno nella storia di Madruzzo, sul loro attaccamento non solo alle proprietà ma anche al nome della Casata.
Si diceva che i Signori di castel Nanno erano diventati i padroni di Madruzzo per titolo di eredità, grazie però ad un parentado discendente da unioni clandestine che addirittura non si sapeva se attribuire alla parte dei laici o a quella dei preti della Famiglia.
Infatti si mormorava che l’accanimento del vescovo Ludovico Madruzzo contro le riforme della Chiesa sul coadiurato fosse sostenuto soltanto da un interesse privato, quello cioè di garantire al nipote la Chiesa di Trento.
Vero è che il principato vescovile di Madruzzo si tramandò per quasi un secolo e mezzo da zio a nipote e che i Madruzzo si impegnarono comunque a difendere i diritti trentini dall’Austria e si opposero alle richieste del Tirolo di entrare a far parte del “Consolato cittadino” per evitare che la città potesse essere considerata “mistilingue”; così fecero anche quando chiamarono a Trento i Gesuiti con la scusa che gli insegnamenti scolastici di allora non erano adeguati ai tempi.
Ludovico, “uomo d’arme e di politica”, era già stato legato pontificio alla dieta di Augusta e ambasciatore dell’imperatore Ferdinando I in Francia quando, nel 1561, divenne Cardinale.
Il suo governo non fu senza contrasti: per i conflitti sorti con l’Arciduca d’Austria Ferdinando, conte del Tirolo, che si impadronì con le armi del principato, fu costretto a fuggire a Roma. Riuscì a tornare dal suo esilio solo nove anni dopo nel 1578, quando grazie alla mediazione dell’imperatore Massimiliano, di Papa Pio V e del cardinale Borromeo, la questione fu risolta.
Come il celebre zio, anche Ludovico, che morì a Roma nel 1600, ebbe una lunga e intensa vita politica, che lo portò a ricoprire spesso posizioni di primo piano nelle tormentate questioni religiose che agitavano l’Europa di quegli anni. Anche su di lui i giudizi furono discordi: si servì spesso con spregiudicatezza della propria autorità conquistandosi la fama di tiranno, ma molti dei suoi contemporanei gli riconobbero anche le doti della “modestia” e della “pietà”, unite ad una sicura preparazione dottrinale.
Il terzo principe vescovo della famiglia Madruzzo fu Carlo Gaudenzio, figlio di Isabella di Challant e di Giovanni Federico, un membro della famiglia che, amico e ambasciatore di Emanuele Filiberto di Savoia, si era distinto per avere combattuto contro i turchi in Ungheria.
Nato nel castello di Issogne in valle d’Aosta nel 1562, anche Carlo Gaudenzio seguì la strada dei suoi predecessori e fu nominato cardinale nel 1604. Divenne principe vescovo grazie alle manovre dello zio e alla volontà dell’imperatore Rodolfo.
Si dimostrò, in anni bui per la città che visse allora l’entrata dei Gesuiti e i processi alle streghe, un amministratore abbastanza accorto del principato: promulgò varie costituzioni sul modo di costituire i censi e di regolare le ferie degli impiegati, redasse severi regolamenti contro gli usurai e i contratti di usura e introdusse quello che venne definito “un discreto ordinamento scolastico”.
Anch’egli chiese ed ottenne grazie all’appoggio dell’imperatore Ferdinando, che il vescovado di Trento passasse in successione al nipote Carlo Emanuele. Di lui si disse che “tranne che avrebbe peccato mortalmente piuttosto, che di lasciar uscire di famiglia il vescovado di Trento, fu uomo lodato”. Morì a Roma il 14 agosto 1629.
IL 4 gennaio dello stesso anno Carlo Emanuele divenne vescovo di Trento: era nato a Issogne, come lo zio, nel 1599 e fu forse la figura più discussa di tutta la famiglia Madruzzo.
Il “regno” che Carlo Emanuele – Madruzzo IV – ereditò dallo zio Carlo Gaudenzio (anche se con poca voglia di fare il vescovo) era tutto sommato ambito, ma il giovane Madruzzo (23 anni) si trovò a governare in un momento in cui la situazione politico-religiosa di Trento volgeva al peggio. Iniziava la guerra dei trent’anni, le polemiche tra Impero e Papato si trascinarono a lungo e i tirolesi sfruttarono ogni situazione a sfavore del giovane Madruzzo che nel 1629 era diventato, nel frattempo, principe vescovo e cardinale. La sua fuga da Trento negli anni della pestilenza, il suo amore scandaloso per Claudia Particella, la figlia dell’uomo più importante della città e suo consigliere, vennero usati contro di lui.
L’ottimo lavoro che Carlo Emanuele fece in difesa delle sedi vescovili di Trento e Bressanone, gli valse il rinnovato riconoscimento di uno speciale stato di autonomia per il Trentino (1648 circa). Questo successo lo spinse a forzare la richiesta per ottenere la dispensa romana e sposare Claudia, dispensa più volte respinta con sdegno, fino al leggendario schiaffo dato al Papa Alessandro VI durante l’ultimo e tempestoso colloquio.
Carlo Emanuele rimase legato fino alla morte a quella “ragazza” con il viso da Madonna, capelli biondi, occhi neri, e sguardo accattivante che molti ritengono sia stata la modella del quadro di Santa Lucia ancora presente nella chiesetta di Calavino nei pressi di Madruzzo. Carlo Emanuele morì improvvisamente il 15 Dicembre 1658.
E’ stato necessario inquadrare un po’ più da vicino le vicende che segnarono la vita dell’ultimo Madruzzo: in lui si spense non solo la famiglia Madruzzo, ma anche lo splendore di una Casata che governò la scena politica per molti anni; la sua scomparsa rese possibile all’Austria una progressiva sovranità sul Trentino, che durò oltre due secoli e mezzo.
La vita di Carlo Emanuele Madruzzo diede ottimi spunti alla fantasia popolare, perché conteneva tutti quegli ingredienti naturali e utili per la costruzione di racconti avventurosi e leggende piccanti: un amore proibito, la guerra, la pestilenza, la ricchezza… il tutto arricchito dalla fervida immaginazione di chi aggiunse alle “storie” racconti di omicidi, di sangue, di veleni e di tradimenti.
Le leggende sulle vicende terrene di Carlo Emanuele Madruzzo passarono di mano in mano negli anni che seguirono fino ad apparire quasi tre secoli dopo, sotto forma di storia a puntate, sul giornale il “Popolo” (1910).
Fu un’iniziativa del direttore della testata Cesare Battisti, diventato poi l’eroe dell’Irredentismo italiano, che per risollevare le sorti del giornale e garantire il rinnovo degli abbonamenti, incaricò Benito Mussolini, il giornalista di maggior richiamo del momento, di scrivere un romanzo da pubblicare a puntate, di cui egli stesso aveva già trattato qualche tempo prima.
L’uomo-giornalista aveva trascorso otto mesi di lavoro come segretario della Camera del Lavoro di Trento, come direttore dell’Avvenire prima e capo redattore del Popolo ed era stato accompagnato al confino perché espulso da Trento, avendo totalizzato circa sette condanne per violazioni delle leggi sulla stampa, per schiamazzi notturni e per incitamento alla violenza. Rientrato a Forlì, riesaminò gli appunti presi alla Biblioteca Comunale di Trento, rielaborò le leggende che circolavano sui Madruzzo, aggiunse alla storia vera morti e assassinii ed inventò un paio di personaggi: Rachele, ancella fedele di Claudia e Don Benizio, consigliere di Carlo Emanuele. Scrisse la “sua storia” su Carlo Emanuele principe vescovo di Madruzzo che rispedì a Trento. Il risultato fu un romanzo appassionante ed avvincente che aveva – allo scopo – come protagonista un vescovo senza scrupoli, traditore ed omicida; una storia che lui stesso definì più tardi “un libro di propaganda politica” (intervista di Emil Ludwig a Benito Mussolini nel 1932, dopo la firma del Concordato con il Vaticano).
Vi furono altri personaggi della Storia che unirono, anche solo per brevi periodi ed in occasioni assai diverse, i loro nomi a quello del castello di Madruzzo.
Fu durante una delle invasioni spagnole che il duca di Vendome, inviato in Italia per combattere il principe Eugenio (impedendogli così di portare soccorso al duca di Savoia), distrusse al suo passaggio anche Madruzzo (1703), incendiando il castello e il parco.
Nei 40 anni circa che precedettero l’arrivo delle truppe incendiarie di Vendome, castel Madruzzo, morto Carlo Emanuele senza lasciare eredi diretti, passò in mano alla famiglia Lenoncourt (grazie a lontane parentele) e poi alla famiglia del Carretto di Genova che amministrò la grande residenza con scarso interesse. Dopo l’incendio, i nuovi proprietari non furono in grado di riparare i danni più gravi, cosicché per la loro incuria la distruzione del castello proseguì anche ad opera della gente dei dintorni che poteva servirsi liberamente delle rovine per ricostruire i villaggi della valle.
Il periodo più rovinoso che la storia dei Madruzzo conobbe ebbe finalmente fine ai primi anni del XIX secolo quando il castello venne messo all'asta ed acquistato dalla famiglia Larcher di Trento, che iniziò una lenta opera di ricostruzione della residenza e di ristrutturazione del parco.
Un altro personaggio di rilievo nella storia della letteratura italiana si ferma a Madruzzo quando ancora il Trentino appartiene all’Austria e guardando giù dalle finestre della fortezza verso l’Italia scrive della sua Patria (Corriere della Sera – 1893). Era Antonio Fogazzaro, parente del Larcher, che soggiornò a Madruzzo per ultimare “Malombra”, il suo primo romanzo di vero successo; a castel Madruzzo dedicò nel 1899 “Sonatine bizzarre”.
Gli ultimi importanti e severi restauri – tuttora in corso – furono eseguiti dagli attuali proprietari, una famiglia che con il proprio impegno ha contribuito a restituire all’antico castello la sua fisionomia cinquecentesca, la sua autorità e la memoria degli anni trascorsi.
I ricordi ritornano e l’antica fortezza riprende a vivere attraverso la storia di un’Italia finalmente unita e sovrana, ma ancora lacerata da gravi problemi ed alle porte di un’unità europea. Ogni anno le pesanti porte del castello si riaprono e le lunga mura medievali sembrano voler accompagnare le moderne vetture che cercano di arrampicarsi sull’antica stradina scavata nella roccia. Il luogo che è stato un tempo il palcoscenico di un celebre Concilio ospita oggi chi ha, per interesse, per cultura e per impegno quotidiano, qualche elemento nuovo, qualche suggerimento o iniziativa per “riformare” ciò che non è più possibile accettare e per “controriformare” ciò che è stato mal impostato nel nostro Paese.
Non è possibile descrivere oggi, in questa sede, lo sfarzo e la ricchezza di un tempo, ma più semplicemente l’eleganza e la serenità in cui vengono celebrati gli “Incontri di Madruzzo”. Chi interviene, chi partecipa o chi propone favorisce però per “censo” il ricordo di importanti avvenimenti storici. Tutto è mantenuto nel più assoluto riserbo. Sono personalità della cultura, della scienza, della politica e dell’economia che spontaneamente si danno convegno e si confrontano.
Forse un giorno qualcuno troverà uno spunto o dei dettagli che gli permetteranno di costruire una “storia fantastica” intorno a questi “Incontri”; qualche audace troverà delle analogie fra i nomi del passato e quelli del presente e potrà anche dubitare delle motivazioni che spingono oggi alcuni uomini a credere in questo tipo di confronto.
Tutto questo è stato previsto.
Indirizzo: Località Castel Madruzzo
Facilities
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