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Descrizione
1) Le mura urbiche.
Sirmione, prima della fondazione del castello voluto dalla famiglia degli Scaligeri, possedeva estesi resti di antiche fortificazioni probabilmente di epoca tardo antica (IV/V sec. d.C.). Mastino della Scala riutilizzò solo in parte le precedenti opere difensive, poiché la fortezza venne edificata all’ingresso della penisola, isolandola del tutto dalla terraferma. Inoltre al castello lì costruito venne unita un’ulteriore cinta muraria, edificata con l’intento di proteggere il piccolo centro abitato limitrofo al castello. Ad oggi di tale cinta muraria si possono scorgere discreti resti, sebbene lo sviluppo edilizio dell’ultimo trentennio, in parte abusivo, abbia obliterato una parte di essa[1]. Il lato orientale delle fortificazioni urbiche principiava dal castello fino ad una torre oggi intatta e posta ad est dell’abside della chiesa parrocchiale. Da qui le mura volgevano in direzione ovest, seguendo l’antica via detta “Fovea Magna”, terminando nei pressi di una seconda torre, che aveva funzione di porta urbica costituita da due anditi, uno di grandi dimensioni per il passaggio di veicoli, un altro più piccolo per il passaggio pedonale. In origine è anche possibile che questa porta urbica settentrionale avesse un ponte levatoio. Superata la torre urbica, la cinta muraria proseguiva per altri 30 metri circa fino ad un’ulteriore torre quadrata, della quale oggi permangono solo alcuni resti. Da qui le mura voltavano verso sud per un breve tratto terminando in corrispondenza del porto Gazzara, a meridione del quale un altro tratto di mura e un’ulteriore torre segnavano il volgere della cinta muraria verso oriente, in direzione del castello. Al giorno d’oggi di questo grande quadrilatero rimangono solo alcuni tratti orientali e settentrionali, mentre le fortificazioni occidentali e in corrispondenza del porto sono state in buona parte obliterate da nuove costruzioni o inglobate in vecchie case pesantemente restaurate.
2) La Rocca Scaligera.
Il castello possedeva tre ingressi, uno trovava luogo a meridione e sbarrava l’istmo che collegava la penisola alla terraferma, un altro ad occidente rivolto in direzione del borgo, l’ultimo, sul lago, a oriente. I due ingressi di terra si caratterizzavano per la presenza di ponte levatoio. L’ingresso dal lago era singolare, poiché protetto da una darsena artificiale di pianta quadrangolare, potenziata ai due estremi orientali da due torri angolari. In corrispondenza della torre di sud-est si trovava il varco attraverso il quale entravano e uscivano le imbarcazioni. Il castello era stato costruito rispettando una pianta rettangolare, con tre torri angolari di pianta quadrangolare e una quarta torre, interna al recinto, alta circa trenta metri con funzione di mastio. La fortezza è ancora oggi circondata da un ampio fossato colmo d’acqua proveniente direttamente dal lago. In tal maniera l’intero castello, posto a guardia dell’ingresso alla penisola, si prefigurava come un’unità distaccata dalla terraferma, ma direttamente collegata ad essa per mezzo dei ponti levatoi e delle fortificazioni urbiche che dalla fortezza stessa avevano loro principio e fine.
La tecnica muraria utilizzata per edificare il castello si compone di cantonali rinforzati per mezzo di laterizi e malta di buona qualità. Il resto della muratura si caratterizza per la presenza di pietrame locale parzialmente sbozzato, almeno in parte proveniente dalle fortificazioni tardoantiche, e disposto lungo regolari assise. Purtroppo recenti restauri hanno nascosto buona parte della trama muraria del castello, maggiormente visibile solo in corrispondenza della sommità della torre di sud-ovest e per una parte dell’altezza del mastio. I merli, a coda di rondine e per tradizione detti ghibellini, arricchiscono notevolmente il castello, sebbene siano nella maggior parte opera di reintegro.
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[1] Una completa descrizione dei resti murari relativi alla cinta urbica e del Castello Scaligero prima dello sviluppo edilizio dell’abitato in epoca contemporanea si trova in: G.G. Orti Manara, op. cit., pag. 104 e seg.
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Storia
Le origini della fortezza Scaligera sono strettamente legate alla storia della città di Verona tra XIII e XIV sec. d.C.[1] Scomparso Ezzelino da Romano, condottiero dalle alterne fortune e fido alleato di Federico II, i cittadini, fra i potenti di Verona, decisero di porre al comando della città un “homo novus”, un uomo lontano dalle lotte politiche, Mastino della Scala, le origini del quale e della relativa famiglia rimangono incerte. Uno degli Scala figurava console di Verona nel 1147, ma si dubita sull’esistenza di altri documenti che attestino per la famiglia possedimenti feudali o titoli nobiliari. Subentrato al potere prima come pretore, ben presto Mastino fu eletto “Capitano generale perpetuo del popolo veronese”, una sorta di dittatore deputato a riportare l’ordine soprattutto tra le due fazioni di guelfi e ghibellini[2]. L’impresa fu vana e Mastino ben presto fu vittima di due pericolosi attentati, l’ultimo dei quali, nel 1269, risvegliò in lui istinti di bellicosa vendetta. Infatti attaccò il cuore dei possedimenti guelfi del veronese espugnando e occupando il castello i Villafranca. Qualche anno prima, nel 1265, Mastino aveva già occupato, assaltandola, la città di Trento e nel 1267, avvicinatosi alla parte ghibellina, aveva anche accolto con grandi onori Corradino, rifornendolo di denaro, vettovaglie e uomini d’arme. Sebbene, come è noto, l’impresa del giovanissimo Hohenstaufen fallisse miseramente, Mastino, offrendo prova di perizia e ingegno, seppe comunque fortificare la propria posizione annettendo a Verona la città di Mantova, fino ad allora in mano a fazione guelfa. Fu all’interno di questa politica espansionistica che Mastino, agli inizi del 1270 (presumibilmente il 1273), conquistò anche Sirmione, in quel momento occupata da numerosi eretici, soprattutto catari e patarini. Molti vennero uccisi sul posto, i superstiti vennero condannati al rogo. Fu uno dei massacri più cruenti del medioevo italiano. Sulla base di questi presupposti venne edificata la famosa rocca, proprio all’ingresso della penisola, in una data compresa tra il 1270 e il 1280[3].
I Signori della Scala pare abbiano sempre grandemente considerato la posizione strategica di Sirmione. In un documento del 1324, Cangrande I della Scala riconfermò i numerosi privilegi elargiti dai suoi predecessori. Alla stessa maniera si comportarono Mastino II e Alberto II della Scala. Nel 1382 in favore di Sirmione e contro Peschiera del Garda si risolse una controversia sul possesso di una peschiera posta tra il “Ponte del Bisso” e un vicino fondo agricolo detto “Rielo”[4]. Caduta temporaneamente in disgrazia la famiglia Della Scala, Sirmione, così come Verona, cadde per breve tempo in mano Viscontea[5]. Anche Gian Galeazzo Visconti, nel 1397, confermò tutti i precedenti privilegi, rendendo immuni gli abitanti anche dalle nuove imposte ducali. L’influenza viscontea durò poco più di un decennio e nonostante il ritorno della famiglia della Scala al governo di Verona, la città già nel 1404 passò sotto la dominazione della Repubblica di Venezia, il cui doge, Michele Steno, si affrettava a confermarne gli antichi privilegi. Proprio al dominio veneziano risale un documento del 13 febbraio 1409[6], nel quale si fa chiara menzione della fortezza scaligera. Dal testo si apprende l’obbligo da parte dei cittadini di Sirmione di provvedere alla riparazione di tutte le fortezze del territorio, ovvero che si adoperassero a restaurare dove necessario la Rocca Scaligera. Nonostante i lunghi anni di pace, la guerra tornò ad incrociare la piccola penisola, quasi angolo di paradiso. La signoria ducale dei Visconti tornò ad affacciarsi sul lago di Garda nel 1438, ponendo a ferro e fuoco le ricche contrade che gravitavano lungo la sponda meridionale del lago. La risposta veneziana fu pronta e decisa. La guerra si concluse appena due anni dopo, contando una nuova vittoria di Venezia[7].
Saldamente in mano veneziana, da alcuni atti del consiglio comunale di Verona risalente al 1506 si apprende che presso Sirmione risiedesse un vicario di stanza nel castello. Le funzioni di tale carica erano presumibilmente quelle di controllo territoriale, dirigere la manutenzione della fortezza con annesse le fortificazioni urbiche, infine rappresentare il Senato veneziano sulla penisola e nelle zone limitrofe[8]. Nonostante la presenza dell’autorità preposta mai venisse a mancare, sembra che la rocca non subisse quelle necessarie trasformazioni atte a permetterle di ospitare nuove macchine belliche, come cannoni e bombarde. Durante una visita effettuata nel 1598, gli ufficiali, che redassero il resoconto, indicarono il castello presidiato da un capitano in compagnia di venti soldati armati di fucili, schioppi, venti moschettoni e appena una colubrina[9]. Si trattava di un arsenale in grado di resistere ad un assedio di media entità e non per lungo tempo. Non molto altro si apprende sullo stato della penisola per il secoli XVII e XVIII. Alla caduta della Repubblica di Venezia, nel 1797, anche la penisola cadde in mano austriaca, sebbene i francesi ad essi la togliessero già agli inizi del XIX sec. Fu, infatti, il generale francese Lacombe S. Michel[10] a far rilevare i vistosi ruderi della celebre villa romana sorta sull’estrema punta settentrionale della terra di Sirmione. Con l’avvento dell’unità d’Italia, alla fine del 1800, la penisola era insediata da circa settecento abitanti, quasi tutti dediti alla pesca, e faceva parte della provincia di Brescia.
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[1] Si ritiene, secondo alcuni, che Sirmione fosse in possesso degli Scaligeri già al tempo di Carlomagno, così in Biancolini, Cronica del Zagata, parte I, pag. 145 e seg. Del medesimo avviso il Saraina, Le historie et facti de’ Veronesi ne i tempi del Popolo e Signori Scaligeri, lib. I, pp. 24 e seg., Verona 1649. Che precedentemente al castello scaligero vi fossero opere fortificate sulla penisola è cosa certa, nessun documento invece assicura la presenza degli Scaligeri prima della conquista ad opera di Mastino I.
[2] C. Cantù, Grande illustrazione del Lombardo-Veneto, Milano 1859, pp. 428 e seg.
[3] Saraina, Le historie et facti de’ Veronesi… Da una cronaca inedita di Gio. Batta. Dalle Vacche si ritiene che il massacro avvenisse il 12 novembre del 1276 e che almeno 166 eretici venissero catturati e tradotti a Verona. L’entità del massacro in realtà sfugge per mancanza di dati attendibili. La cronaca inedita narra che almeno cento prigionieri venissero arsi vivi all’interno dell’arena di Verona il 13 febbraio del 1278, quasi rievocando le persecuzioni e le esecuzioni di massa durante i secoli centrali dell’Impero Romano a danno degli stessi cristiani.
[4] G.G. Orti Manara, La penisola di Sirmione sul Lago di Garda, Verona 1856, pag. 127.
[5] Sulla spedizione viscontea contro Sirmione: Biancolini, Supplemento al Zagata, pag. 120; L. Moscardo, Storia di Verona dalle origini al 1668, lib. IX, pp. 247 e seg.
[6] G.G. Orti Manara, op. cit., pag. 130.
[7] Sirmione tornò sotto il dominio veneziano già nel 1440. A capo dell’offensiva veneta stava il generale Stefano Contarini. Un narrazione dei fatti nel manoscritto esistente presso il Codice Capitolare num. 286, scritto dal Lazise: Georgii Bibilaquae de Lazisio ad virum Patritium Marcum Donatum J.C. Historia de bello gallico.
[8] G.G. Orti Manara, op. cit., pag. 132/133.
[9] G.G. Orti Manara, op. cit., pag. 134.
[10] Testo e disegni in: Journal Historique des operations militaires du siége de Peschiera et de l’attaque des retranchemens de Sirmione Comandès par le Général de Division Chasseloup Laubat Inspecteur General Comandant en Chef du Génie a l’armée d’Italie accompagnè de Cartes et de Plans, et suivi d’une note sur la maison de campagne de Catulle situèe a l’extrèmité de le presq’ile de Simione. Par le Chef d’Escardon F. Hènin, Adjont. Chef de l’etat major des Troupes du Siège de Peschiera. An IX, pag. 89 e seg.
Bibliografia
- C. Cantù, Grande illustrazione del Lombardo-Veneto, Milano 1859.
- G.G. Orti Manara, La penisola di Sirmione sul Lago di Garda, Verona 1856.
- Saraina, Le historie et facti de’ Veronesi ne i tempi del Popolo e Signori Scaligeri, Verona 1649.
Indirizzo: Piazza Castello, 1
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