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Descrizione
1 – Il borgo fortificato.
Il borgo di Portovenere occupa l'estrema penisola meridionale del golfo di La Spezia. L’abitato si sviluppa attraverso una pianta orientata nord/sud ed è, almeno in apparenza, frutto di un impianto unitario a vocazione militare/marinara deciso all’epoca della fondazione genovese nel 1113. Il borgo è, ancor oggi, protetto da fortificazioni per tre lati, nord, sud ed est[1]. Il versante occidentale risulta caratterizzato da un rilievo sul quale è stato edificato il Castello Doria. Le fortificazioni del versante orientale si distinguono per una massiccia palazzata, formata da edifici fra loro strettamente connessi, a pianta quadrata di tre o quattro piani. Solo all’angolo di nord/ovest si osserva la presenza di una torre a bugnato, frutto dell’ulteriore rafforzamento delle fortificazioni voluto dai Genovesi nel 1161.
Questa torre funge anche da raccordo con la linea fortificata settentrionale e fiancheggia l’imponente porta urbica, sulla quale si osserva l’iscrizione recante l’anno di fondazione della colonia. La linea fortificata settentrionale, che all’estremità occidentale si lega al castello Doria, è contraddistinta da un muro di cinta, interrotto da due torri a pianta quadrata aggettanti verso l’esterno rispetto alla linea muraria ed edificate lungo il pendio del colle. Le difese meridionali occupano l’estrema penisola di Portovenere e si compongono di un lungo muro di cinta orientale, merlato e caratterizzato da una torre quadrangolare aggettante verso l’esterno. A sud, su di un piccolo promontorio, sorge la suggestiva chiesa di S. Pietro, edificata dai Pisani agli inizi dell’XI sec. su di una preesistente chiesa altomedievale, oggi inglobata all’interno del nuovo complesso chiesastico.
In maniera speculare alla linea muraria orientale, il muro di cinta occidentale si presenta ben protetto, complice l’altezza della scogliera, che rende difficoltoso l’accesso dall’esterno. A sud di quest’ultima linea muraria, non lontano dalla chiesa di S. Pietro, si osserva la presenza di un fortino a pianta rettangolare, sorto sulla sommità di una rupe a strapiombo sul mare. Se l’impianto del borgo risulta unitario, esso è comunque frutto di due successivi interventi, il primo dei quali coevo alla fondazione, 1113 d.C., il secondo in relazione alla minaccia del Barbarossa, 1161 d.C. Non è semplice capire a quale dei due interventi legare le fortificazioni meridionali, che differiscono, almeno in parte, nel materiale da costruzione, composto in prevalenza dalla bella pietra nera detta marmo di Palmaria[2]. E’ anche possibile che un nucleo fortificato, in corrispondenza della chiesa di S. Pietro, fosse stato edificato già dai Pisani entro il primo decennio del XII sec. d.C.
2 – Il Castello Doria
Salendo la lunga scalinata parallela al muro di cinta settentrionale, si giunge al cospetto del Castello Doria, imponente architettura militare, frutto di successive ricostruzioni. La fortezza possiede una pianta quadrangolare irregolare, sebbene non facente parte dell’originale castello, edificato nel 1162 e distrutto, quasi totalmente, nel 1453. Successivamente ricostruito, quel che è possibile osservare oggi è il frutto dell’unione di due diverse parti, di cui quella interna, più antica, venne edificata sotto la supervisione di Antonio Spinola durante la seconda metà del XVI secolo. La parte esterna è, invece, più recente, avente baluardi a difesa delle artiglierie edificati nel XVII secsolo.
Dal portone d'ingresso si accede a un ampio locale con soffitto coperto da volte a botte, variamente articolato in altezza. Da tale ambiente si arriva tramite una scalinata in pietra al primo terrapieno sul quale si affaccia la Sala Ipostila: realizzata con materiali di provenienza locale, ha il soffitto costituito da volte a crociera impostate su 8 pilastri intermedi e 16 perimetrali. Sopra la sala ipostila è situata la Casa del Capitano, così chiamata perché vi risiedeva un Castellano o Capitano del Popolo, indipendente dal Podestà di Porto Venere. La parete nord del Castello appare attrezzata, con gli ampi camminamenti a garitte e a feritoia ivi disposti, per la difesa convenzionale con archibugi e armi idonee a respingere gli assedianti. L'accesso al camminamento di ronda o cortina superiore avviene tramite una terrazza laterale prospiciente il mare; questo si sviluppa da sud-ovest a nord-ovest ed è composto da due tratti aventi come vertice un ampio e massiccio torrione a pianta circolare con inserita una garitta di guardia.
[1] Molti pirati approfittarono della sicurezza offerta dalle fortificazioni, fra i quali merita ricordo il corsaro Bardella, vissuto nel XV sec. e nemico giurato dei Fiorentini. In E. Repetti, op. cit., vol. 8, pag. 626.
[2] E. Repetti, op. cit., vol. 2, pag. 605. Il marmo di Palmaria è fra i materiali da costruzione più famosi del nord Italia. La pietra veniva cavata dall'omonima isola posta innanzi a Portovenere. Su essa si possono ancora oggi osservare le antiche cave dalle quali si estraeva il materiale. È possibile che le prime escavazioni sistematiche avessero inizio intorno al XVI sec., sebbene appaia evidente l'uso di questa particolare pietra già in epoca altomedievale, così come testimoniano i resti dell'originaria chiesa di S. Pietro inglobati nell'attuale edificio del XII sec. E’ comunque probabile che i marmi utilizzati presso l’antica Luni romana provenissero almeno in parte dal promontorio di Portovenere e dalla stessa Palmaria.
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Storia
1 – Origini.
Gli studi attuali non chiariscono le origini del borgo. Attestazioni archeologiche testimoniano la frequentazione del luogo almeno fin dal periodo tardo antico (III/IV sec. d.C.)[1]. Fra le fonti letterarie più antiche si annovera un’epistola del VI sec. d.C. scritta da papa Gregorio Magno. Nella lettera, indirizzata a Venanzio vescovo di Luni[2], si accenna a Portovenere come possibile luogo in cui trovava posto una comunità di religiosi. Testimonianze certe dell’abitato risalgono però solo agli inizi del XII sec. d.C. In questo periodo il luogo era strettamente controllato da Pisa, che ricostruì presso il piccolo promontorio sul mare una chiesa in marmo bianco di Luni e marmo nero locale in concomitanza dell'esistenza di un piccolo villaggio di pescatori. La chiesa fu consacrata a S. Pietro da papa Gelasio II nel 1118 d.C.[3], anno in cui il luogo era già posto sotto la dominazione genovese così come attesta una lapide marmorea posta sulla porta d’ingresso del borgo fortificato[4]. I Genovesi, infatti, avevano inviato, cinque anni prima, una colonia al fine di strappare il luogo ai Pisani e di fabbricare una fortezza costiera, caposaldo orientale di una dominazione in rapida espansione. La tradizione ricorda che all’inizio abitarono la nuova colonia genovese le quattro illustri famiglie degli Interiano, Di Negro, De Marino, De Fornari[5]. Le fortificazioni erano già presidiate da castellani almeno a partire dal 1140, sostituendo di fatto la presenza e l’influenza, in quei luoghi, della ricca famiglia dei Vezzano, dai quali Genova ottenne in sostanza il possesso del promontorio e dei luoghi circostanti il borgo. La totale scomparsa dei Vezzano dal controllo dei luoghi limitrofi a Portovenere è da registrare intorno al 1160, quando il borgo ottenne un potenziamento delle fortificazioni per mezzo di una poderosa cinta muraria turrita e attraverso l’edificazione di un secondo ridotto fortificato posto sulla sommità del colle immediatamente a ridosso di Portovenere[6]. L’imponente presenza di Genova influì anche sulla giurisdizione ecclesiastica. Una bolla pontificia di Eugenio III ricorda che ancora nel 1149 la pieve di S. Pietro di Portovenere fosse alle dipendenze dei vescovi di Luni. La situazione ebbe a subire profondi mutamenti sempre in concomitanza del rafforzamento delle fortificazioni del borgo. Nel 1161 la pieve, con il monastro di S. Venerio al Tino, fu infatti sottoposta alla diocesi arcivescovile di Genova, così come risulta scritto nella bolla pontificia del 9 aprile 1161 di papa Alessandro III.
2 – Il dominio genovese e i rapporti con l’Impero.
Il potenziamento delle fortificazioni di Portovenere nel 1160 fu anche la decisa risposta di Genova alle minacce provenienti da Federico Barbarossa e dai Pisani in quel periodo alleati dell'imperatore. Federico I, durante il suo soggiorno a Pavia nel 1161, dopo la distruzione di Milano, donava a Pisa il castello di Portovenere, con tutte le relative giurisdizioni, pertinenze e abitanti dell’intero distretto, con l’inclusione dei castelli e dei borghi limitrofi[7]. Portovenere ovviamente risultava ancora da conquistare poiché in mano ai Genovesi. Le donazioni imperiali rimasero un nulla di fatto e le mire pisane tornarono alla ribalta solo dopo la morte del Barbarossa. i Pisani, infatti, tentarono un secondo assalto nel 1197, periodo nel quale il figlio del Barbarossa, Enrico VI, si era già stabilmente insediato a Palermo. Pisa ottenne un successo di breve durata. Genova inviò un forte contingente navale che espugnò la roccaforte litoranea già entro il 1202. Anche di questo cruento fatto d'armi pare rimanesse memoria almeno fino alla fine del XIX sec. per mezzo di un’iscrizione, che testimoniava anche di uno scontro navale presso l’isola del Tino tra una squadra navale genovese e un contingente imperiale[8]. A conferma del fatto che Portovenere fosse agli inizi del XIII sec. nuovamente in mano genovese vi è un documento del dicembre 1200 scritto a Palermo per volontà dell’allora giovanissimo Federico II (non ancora imperatore). Il testo fa riferimento ad una donazione del giovane sovrano siciliano nei confronti di Genova, al fine di esentare la Repubblica da dazi e pedaggi e permetterle, inoltre, di fondare ambasciate nelle città di Messina, Siracusa, Trapani e Napoli. Il documento, peraltro, cita Portovenere come facente parte dei domini genovesi, rappresentando il borgo l’estremo confine di levante[9]. Nonostante la sconfitta, i Pisani tentarono un nuovo assalto quarant’anni dopo, avendo allestito una nuova flotta di circa 105 galere e altre cento barche. Scopo principale era sfiancare la roccaforte di Portovenere facendo intorno terra bruciata e, prolungando l’assedio, affamare chi vi resisteva all’interno. In questo caso la partecipazione imperiale pare fosse certa, sebbene giungesse a tradire proprio uno dei luogotenenti di Federico II, il conte Pandolfo, avendo dato manforte a Genovesi, i quali ottennero di spezzare l’assedio e allontanare la flotta nemica[10]. Alla morte di Federico II, i sogni espansionistici dei Pisani si infransero contro la realtà della fazione guelfa in netta supremazia. Ad un primo tentativo di pace con Genova, seguì, nel 1277, la totale perdita della residua supremazia pisana lungo la riviera di Levante. I Genovesi infatti conquistarono Lerici, rafforzando così il valore strategico di Portovenere[11].
3 – Gli anni di sviluppo economico e la supremazia fiorentina.
Rimasta saldamente in mano a Genova, Portovenere durante la seconda metà del XIII pare abbia usufruito di un notevole sviluppo economico. Ovviamente, con alle spalle i rilievi montuosi e un entroterra ridotto e non agevole per l’agricoltura, le principali attività degli abitanti di Portovenere si svolgevano in diretto legame con il mare. Documenti databili rispettivamente al 1270 e 1273 raccontano della presenza, nel borgo, di armatori, costruttori di bastimenti anche per città ostili come Pisa[12]. Inoltre un decreto del senato genovese, risalente al 14 dicembre 1289, sanciva la maestria dei Portoveneresi in relazione alla costruzione di imbarcazioni. Grazie a questa fama, pare che il borgo avesse privilegi nei principali porti del Mediterraneo, anche nel Regno delle due Sicilie.
Fra gli avvenimenti più importanti che interessarono la colonia genovese durante la prima metà del XIV sec., vi è certamente il violento incendio che colpì Portovenere nel 1340. Se ne trova menzione presso la Cronaca Nuova del Villani, il quale ricorda che fra le principali attività degli abitanti del borgo vi fosse anche la pirateria[13].
Nel 1411 Portovenere si sottomise alla Signoria di Firenze, dietro un pagamento mensile di 320 fiorini d’oro da parte dei Fiorentini[14]. L’ovvia reazione genovese ebbe come conseguenza una frustrante disfatta. Solo con il trattato di Lucca del 27 aprile 1413, si stabilì che i Fiorentini dovessero restituire a Genova Portovenere, compresi i castelli e le fortezze. Il prezzo di questa cessione si quantificava in 8400 fiorini d’oro, da pagarsi in 4 mesi. Altra clausola prevedeva che prima dell’abbandono del borgo, i Fiorentini avessero facoltà di ricavare tutte le munizioni e le vettovaglie ancora custodite nelle roccaforti. Altre due clausole prevedevano che venissero liberati da ogni tipo di accusa, compresa la lesa maestà, tutte le genti rinchiuse a Portovenere e Lerici e che tutti gli abitanti, i quali avessero abbandonato i borghi costieri in favore dei territori fiorentini e pisani, ottenessero in cambio terreni sufficienti per il sostentamento della famiglia.
4 – Il controllo di Genova e la distruzione ad opera degli Aragonesi.
Portovenere ottenne di ritornare sotto il dominio genovese per almeno un trentennio. Poche notizie si hanno sull’economia del paese durante questi profondi cambiamenti. Intorno alla metà del 1442 borgo e fortificazioni vennero dati da Genova alle genti di Alfonso di Aragona, allora re di Napoli. L’occupazione duro pochi mesi, poiché le genti di Portovenere ricacciarono al di là delle mura gli occupanti e riconsegnarono spontaneamente la roccaforte a Genova. Gli Aragona di Napoli tornarono a minacciare Portovenere alla fine del XV sec. Essi sottoposero il borgo ad un pesante bombardamento navale, dal quale il paese non si risollevò più. D'altronde stava velocemente tramontando la potenza delle repubbliche marinare, disfatte da interminabili ed estenuanti lotte. Erano ormai giunti i tempi delle nuove rotte atlantiche da e verso il Nuovo Mondo. Il declino economico di Genova coinvolse anche il destino delle sue colonie più illustri, compresa Portovenere.
[1] Portovenere anticamente detta Porto di Luna, sebbene l'identificazione non sia del tutto certa. L. Alberti, in Descrittione di tutta Italia, 1553, pag. 19, rammentava che di Porto di Luna vi fosse menzione in Livio, Annales lib. 34. E. Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, vol. 8, pag. 623, riteneva, inoltre, che il toponimo Portovenere provenisse non dalla originaria presenza di un tempio di Venere, ma dall’esistenza del monastero di S. Venerio sull’isola del Tino. Lo stesso autore considerava anche la presenza del toponimo Portovenere presso l’edizione latina della Geografia di Tolomeo frutto di interpolazione.
[2] E. Repetti, op. cit., vol. 2, pag. 608. Nell’epistola di Gregorio Magno si argomenta sulla necessità di punire un diacono abate di Portovenere.
[3] E. Repetti, op. cit., vol. 8, pag. 624.
[4] L’iscrizione, ancora ai giorni nostri ben visibile, recita: “Colonia Januensium Anno 1113”.
[5]Annali Genovesi di Cafaro e de’ suoi continuatori dal MXCIX al MCCXCIII, a cura di L.T. Belgrano, I, Genova 1890 (FSI), p. 15: “consules ad honorem civitaes Ianue castrum Portus Veneris edificare fecerunt”.
[6] G. Petti Balbi, I signori d Vezzano in Lunigiana (sec. XI-XIII), La Spezia – Massa Carrara 1982 (Collana storica della Liguria orientale, 9), pag. 12 e seg.
[7] F. Dal Borgo, Raccolta di scelti Diplomi Pisani, Pisa 1765, pag. 34. Il documento narra di ampie donazioni elargite dal Barbarossa ai Pisani. Si trattava, in realtà, di donazioni legate a territori ancora da conquistare. Oltre a Portovenere figuravano, infatti, quartieri di Palermo, Messina, Napoli e Salerno, all’epoca sotto il dominio normanno.
[8] Si trova ricordo dell’iscrizione in Corrispondance Astronomique du Baron de Zach, vol. IV, Genova 1820.
[9] J.L.A. Huillard-Breholles, Historia diplomatica Friderici secundi, vol. I, tomo I, pp. 64-67, Parigi 1852-1861.
[10] E. Repetti, op. cit., vol. 8, pag. 625. L autore ricorda un iscrizione commemorativa dell'episodio, presente sulla facciata del palazzo detto delle Vele a Pisa.
[11] E. Repetti, op. cit., vol. 8, pag. 625.
[12] Anom. Diplom. Fior., Carte della Primaziale di Pisa.
[13] G. Villani, Nuova Cronica, Lib. XI, cap. 121:”… non senza giudizio di Dio, perché quelli di Portovenere erano tutti corsari e pirati di mare”.
[14] Ammir., Stor. Fior., lib. XVIII.
Bibliografia
L.T. Belgrano (a cura di), Annali Genovesi di Cafaro e de’ suoi continuatori dal MXCIX al MCCXCIII, I, Genova 1890 (FSI).
F. Dal Borgo, Raccolta di scelti Diplomi Pisani, Pisa 1765.
J.L.A. Huillard-Breholles, Historia diplomatica Friderici secundi, vol. I, t. I, Parigi 1852-1861.
G. Petti Balbi, I signori d Vezzano in Lunigiana (sec. XI-XIII), La Spezia – Massa Carrara 1982.
E. Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, vol. 2 e 8, Firenze 1839.
G. Villani, Nuova Cronica, Lib. XI.
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